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Storia del cantiere

Il Cantiere Navale Triestino (CNT) di Monfalcone fu fondato il 3 aprile 1908 su iniziativa di una famiglia di armatori originari dell’isola di Lussino, i Cosulich. La loro società, l’Unione Austriaca di Navigazione, aveva ordinato fino ad allora le nuove navi ai cantieri del Regno Unito, all’avanguardia nel settore.
La decisione di aprire un proprio cantiere fu presa a seguito della legge del 1907 con cui il governo austro-ungarico volle incentivare le costruzioni navali nell’Impero. Il sito fu identificato nell’area di Panzano. I Cosulich acquistarono i terreni dalle ditte Faccanoni e Adriatica che vi avevano eseguito lo scavo di bacini per recuperare la terra necessaria alla costruzione del porto nuovo di Trieste. L’area, costeggiata dal Canale Valentinis alimentato dall’acqua dolce del Canale Dottori, permetteva un’ottimale conservazione delle carene delle navi in allestimento.

Il quartiere residenziale di Panzano, nasce nel 1908 per opera dei fratelli Cosulich per ospitare i lavoratori del cantiere navale. Nel 1913 viene formulata una prima ipotesi di villaggio operaio dall’Associazione Edile di Utilità Pubblica, con i progetti dell’ingegner Dante Fornasir.

Il Monfalconese fu direttamente coinvolto nella Prima Guerra Mondiale, scoppiata nel luglio del 1914, solo dopo l’entrata in guerra dell’Italia contro l’Austria, il 24 maggio 1915. Parte della popolazione fu evacuata, molti operai furono arruolati nell’esercito austro-ungarico, mentre alcuni macchinari del CNT furono trasportatati a Budapest per non interrompere del tutto la produzione. La battaglia infuriò sanguinosa tra il Carso e l’Isonzo e Monfalcone si trovò al centro del fuoco. Gli Italiani entrarono in città il 9 giugno 1915, mentre iniziavano i violenti bombardamenti austriaci che nel corso dei mesi successivi avrebbero devastato città e cantiere. Quando, dopo Caporetto (ottobre 1917), gli Austriaci rioccuparono il territorio, i Cosulich chiesero al governo il risarcimento dei danni di guerra ma, mentre le pratiche erano ancora in definizione, sopraggiunse la vittoria italiana (4 novembre 1918). 

Con la costituzione, nel giugno 1930, dei Cantieri Riuniti dell’Adriatico (CRDA), associazione dei cantieri di Monfalcone, Trieste e Muggia, si spezzava il legame proprietario tra il cantiere e la famiglia Cosulich. Due anni dopo, con la fusione delle tre maggiori compagnie di navigazione nazionali e la creazione della Società Italia, la famiglia lussignana perdeva anche il controllo della propria società armatoriale (anche se fino al 1937 la stessa mantenne una certa autonomia). Quelli tra le due guerre furono comunque anni di grande successo per il cantiere di Monfalcone, che si distinse sia in campo militare (con i sommergibili) sia in quello civile, ottenendo – unico esempio in Italia – numerose commesse dall’estero, la più prestigiosa delle quali fu il transatlantico Stockholm. 

Nel 1966 i due maggiori gruppi cantieristici italiani, l’Ansaldo e i CRDA, furono accorpati in una nuova società gestita dall’IRI, l’Italcantieri. Fu così attuato il piano del Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica-CIPE, che prevedeva la razionalizzazione del settore cantieristico. Per quanto riguarda i cantieri triestini, si stabilì il rilancio dell’Arsenale attraverso l’accorpamento con il cantiere San Marco. Il nuovo Arsenale Triestino-San Marco (ATSM) sarebbe stato destinato solamente alle riparazioni e trasformazioni navali, segnando così la fine dell’attività di costruzione. Come contropartita, il piano CIPE stabiliva, per l’area giuliana, il potenziamento del cantiere di Monfalcone dove si procedette a un notevole rinnovamento degli impianti, favorito anche dalla crescente domanda di grandi navi cisterna. 

Nel 1984 Fincantieri si trasformò da società finanziaria a società operativa. Con la fusione di tutti i cantieri navali in mano pubblica nacque un colosso navalmeccanico nazionale che si propose di razionalizzare il settore alla ricerca di nuove opportunità che avrebbero garantito carichi di lavoro costanti. Non potendo competere con i cantieri dell’estremo Oriente nella costruzione di unità mercantili, l’unico sbocco per l’industria navalmeccanica italiana era rappresentato dalle produzioni  ad alto contenuto tecnologico. Si decise così di puntare sull’emergente mercato delle navi da crociera, che offriva grandi possibilità di sviluppo.

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